Friedrich Nietzsche1
Esiste un tempo accelerato e limitato su cui l’uomo ha costruito la propria esistenza e c’è un tempo arcaico e percettivamente infinito che sfugge al controllo dell’essere umano: è l’istante perpetuo della natura, un fluire ininterrotto i cui effetti si palesano al nostro sguardo come tracce lasciate da un passaggio. Come la punteggiatura, le tracce definiscono un prima e un dopo, fissano un intervallo temporale e attribuiscono significato agli avvenimenti. Così l’impronta, ad esempio, ci permette di capire quando un animale è passato e che direzione ha preso. Allo stesso modo l’uomo moderno ha costruito monumenti e palazzi per punteggiare la sua presenza in un determinato luogo e uno specifico momento.
Il segno o anche ciò che s’intende per gesto minimo è dunque l’elemento che interseca e percorre orizzontalmente prospettive temporali diverse: nella visione animista è la manifestazione dello spirito, nella cultura contemporanea è l’affermazione del punto di vista singolare e soggettivo. In questo senso, come poetica del gesto può essere letta la ricerca della giovane artista brasiliana Maria Laet. Attraverso l’uso di materiali con qualità organiche (come la garza, i palloncini, il filo tessile o la sabbia, il vento, il respiro e il latte) e servendosi prevalentemente del mezzo fotografico e del disegno, i suoi lavori esprimono la necessaria e insieme possibile riconciliazione del gesto umano alla natura.
Come l’artista stessa suggerisce “tutti gli elementi in natura esprimono i diversi modi con cui noi ci relazioniamo al mondo, agli altri e a noi stessi. Personalmente sono attratta dai materiali fluidi perché possiedono un certo grado di malleabilità in relazione al contesto. Hanno la capacità di riprodurre ed essere parte del movimento del reale, di qualcosa che è organico, mutevole e impalpabile.”
La traccia lasciata da un palloncino, dal corpo stesso dell’artista, dalla grafite sul foglio, dal latte sull’asfalto, sono il residuo a-temporale di un’azione performata, ma da cui lo spettatore è sistematicamente escluso, un’allusione continua ad un gesto che scivola sfuggente tra le dita.
Le opere di Maria Laet sono un esercizio d’essenzialità ed eleganza, che mentre sottraggono alla vista dello spettatore, ammiccano ad una processualità come accumulo di momenti.
D’altra parte la traccia è il tempo presente di ciò che è già avvenuto, è la memoria dell’azione fissata, ad esempio, sulla porosità della carta come nella serie Untitled (Dialogue Series. Blowing) 2008, in cui l’artista soffia su piccole quantità d’inchiostro dando vita a forme non calcolate e del
1 Friedrich Nietzsche, La Filosofia nell’epoca tragica dei Greci e scritti dal 1870 al 1873, a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, tr. di Giorgio Colli, Adelphi, Milano 1973.
tutto casuali o ancora le impronte tracciate da palloncini nello spazio di una stanza, come nel lavoro Untitled (Dialogue Series. Balloon and Body), 2007.
La poetica del gesto, come l’immaginazione materiale di Gaston Bachelard, richiede di individuare ed analizzare le forme specifiche attraverso cui la realtà si manifesta. In questo senso Maria Laet è stata influenzata, seppur in modo del tutto indiretto, dalle spinte costruttiviste e gestaltiche del movimento neoconcreto, che riconosceva l’opera d’arte come organismo vivente, come quasi-corpus. É questa la radice storico-culturale che l’artista continua sistematicamente a ri-pensare e ri-elaborare attraverso il proprio lavoro. Così Untitled, 2010, video che mostra un performer nell’atto di suonare una tuba alla cui estremità è stata applicata una membrana trasparente, nella sua essenzialità spoglia esprime il senso poetico della realtà fenomenica, quella dell’affannoso respirare che si riflette nel contrarsi e rilassarsi della sottile membrana.
Maria Laet non crede dunque alla scomparsa della natura rimpiazzata dall’esclusivo potere della relazione sociale, come invece immaginava il filosofo francese Gabriel Tarde in Frammenti di storia futura. Se l’umano e il naturale devono necessariamente coesistere per la sopravvivenza reciproca è perché, afferma l’artista stessa, c’è una corrispondenza reale di forme e di movimenti, un’architettura totale ed organica che è allo stesso tempo prerogativa dell’uomo e della natura.
L’artista riesce a catturare i momenti di maggiore tensione e attrazione tra sostanze vitali diverse e lo fa fissando su carta o su fotografia l’evento nel momento dell’approssimarsi. La semplicità e la decisione del gesto, inoltre, esprimono la consapevolezza di una totalità vivente in cui l’uomo e la natura sono parti di un insieme eterogeneo.
Ogni tentativo di separazione è dunque soltanto un nuovo motivo per riaffermare la loro inscindibile unione.